By Richard Eichenberg

Abstract

This essay describes common themes in the literature and films of immigrants to Italy from Africa and its diaspora, which often emphasize the pursuit of happiness and economic security as primary goals. However, they suggest that happiness and security also have costs, especially the loss of contact with friends and family, the distance from social rituals, and unwanted changes to cultural identity. The paper was written for the class Black Italy, taught by Giulia Po DeLisle.

Perdita e solitudine nella vita delle popolazioni migranti

La migrazione verso l’Italia di persone provenienti dai paesi dell’Africa e la dimensione identitaria del migrante nella penisola sono state descritte e rappresentate in testi saggistici come Reversing the Gaze di Geneviève Makaping, in testi letterari come Scontro di civiltà per un ascensore in Piazza Vittorio di Amara Lakhous, nei racconti di Igiaba Scego e Pap Khouma, e nel documentario If Only I Were That Warrior di Valerio Ciriaci. Da queste opere si può capire che le ragioni della migrazione rispondono a motivazioni e a esigenze diverse, ma anche che i migranti pagano a duro prezzo la loro scelta perché la vita in un nuovo paese non è facile, ma è piena di ostacoli. Emerge tuttavia, in alcuni personaggi, la capacità di potere superare le difficoltà e trovare spazio per affermare la loro identità multiculturale.

Certamente c'è chi emigra per ragioni politiche. Ad esempio, Parvis in Scontro di civiltà per un ascensore in Piazza Vittorio dice:

Sono fuggito da Shiraz perché minacciato, se torno in Iran troverò la corda ad aspettarmi… E poi come avrei potuto abbandonare i miei bambini, mia moglie, la mia casa, il mio ristorante e Shiraz, se non per sfuggire alla morte! Io sono un rifugiato, non un immigrato (Scontro di civiltà, 30).

Altri migrano per ragioni diverse, più intime e personali. Nel saggio Reversing the Gaze, Maka migra perché ama Marcel e vuole andare con lui in Francia. Mulu, la donna etiope nel documentario If Only I Were That Warrior dice che pensava di trovare la felicità in Europa o negli Stati Uniti. La sua storia è molto complessa perché lei parla anche del trascorso coloniale dell’Italia e di come gli italiani si siano dimenticati delle atrocità fatte in Etiopia, in Somalia e in Eritrea durante il periodo fascista. Nel romanzo di Amara Lakhous, il personaggio di Ahmed emigra dopo la morte della moglie per dimenticare e per lasciarsi alle spalle il dolore (Scontro di civiltà, 215). Ci sono anche molti esempi di migrazione per ragioni economiche: in Scontro di civiltà Iqbal e Abdallah prosperano a Roma vendendo cibo, e Maria Cristina ha trovato lavoro come badante. Nel suo racconto in Io, venditore di elefanti, Pap Khouma sembra lasciare il Senegal per ragioni economiche, anche se poi si ritrova sulle spiagge della Romagna a vendere artefatti africani (24-26).

Sebbene motivazioni diverse abbiano spinto uomini e donne a lasciare l’Africa per raggiungere l’Italia, soprattutto negli ultimi trentacinque anni, trovare la felicità o aumentare la sicurezza economica o personale rimangono ragioni comuni.

Però, anche la felicità e la sicurezza hanno dei costi. La solitudine e la perdita emergono spesso dai testi come conseguenze dolorose dell'emigrazione. I personaggi menzionano la perdita di amici e familiari, ma descrivono anche la perdita dei rituali, in particolare quello del cucinare e del mangiare. Il cibo diventa un elemento narrativo che enfatizza la perdita e la lontananza. Il personaggio di Ahmed, ad esempio, sa che Parvis sente la mancanza della famiglia e dei cibi di Shiraz, la sua città natale; quindi, organizza una festa e chiede a Parvis di cucinare per gli ospiti. Parvis dice:

Mi metto subito a preparare i vari piatti iraniani, come il ghormeh sabzi e il kebab kubideh, i kashk badinjan e i kateh. Gli odori che riempiono la cucina mi fanno dimenticare la realtà e mi sembra di essere tornato nella mia cucina a Shiraz…Io mi trovo bene in cucina. E non c’è da meravigliarsene, perché sono un bravo cuoco. Ho imparato il mestiere tramandato da mio nonno a mio padre (Scontro di civiltà, 25-26).

Anche Maria Cristina, in Scontro di civiltà, collega la solitudine al mangiare: “Soffro di una terribile solitudine, che a volte mi fa accarezzare la follia. Guardo la tv tutto il giorno e mangio tanto, divoro grandi quantità di cioccolata…sono molto grassa” (Scontro di civiltà, 122). 

In modo simile, a Maria Cristina piace il rito di mangiare i cibi del suo paese con i suoi amici peruviani:

Vado alla stazione Termine dove si incontrano gli immigrati peruviani. I loro volti soddisfano la sete dei miei occhi e le loro parole riscaldano le mie orecchie fredde. Mi sembra di tornare a casa, a Lima. Saluto e bacio tutti, anche se alcuni non li ho mai visti prima, poi mi siedo sul marciapiede e divoro i cibi peruviani, il riso con pollo e il lomo saltadoe e il sibice (Scontro di civiltà, 118).

Sappiamo infine che Ahmed è triste per la morte della moglie, ma nei suoi “ululati” dice anche che gli mancano il suo quartiere e la sua famiglia. 

Soprattutto gli manca sua madre e il cibo che mangiavano insieme:

È triste fare Ramadan lontano da Bagia! A cosa serve rinunciare a mangiare e a bere, per poi mangiare solo? Dov’è la voce dei muezzin? Dov’è il cuscus che preparava mamma con le sue mani? …Come faccio a dimenticare le serate di Ramadan nei quartieri popolari, il ritorno a casa la notte tardi? La voce di mamma piena di tenerezza, l’amore che incantava il mio orecchio: “Figliolo, questo è il momento di suhur…Quanto desidero sentire questa frase dalla sua bocca: “Ahmed, figlio mio, che la tua festa sia benedetta e che ogni anno tu stia bene! (Scontro di civiltà, 225).

Molti dei personaggi nei testi sopracitati temono inoltre che l’immigrazione porti alla perdita della loro identità – o alla perdita di una parte della loro identità. 

Ad esempio, quando Pap Khouma arriva in Italia, vuole subito tornare a Dakar. Teme di perdere la sua famiglia, e teme anche di essere circondato dalla cultura (scarpe e vestiti) dei tubab, parola usata per identificare l’uomo bianco.

Mamma mia. Senegal caro. Splendida Dakar. Fratelli, amici, amiche, magari una futura moglie: tutti vorrei attorno, invece delle scarpe e dei vestiti dei tubab, le belle scarpe e i bei vestiti dei tubab. A tutto rinuncerei pur di tornare indietro (Io, venditore di Elefanti, 25).

Nella prima pagina di Scontro di civiltà, Parvis descrive la sua intensa antipatia per la cucina italiana e per la pizza, lui odia la pizza e lo ripete molte volte al lettore (16). Forse non gli piace il gusto? Ahmed pensa che ci sia una ragione più importante: “Credo che Parviz abbia paura di dimenticare la cucina iraniana se impara quella italiana. È l’unica spiegazione al suo odio per la pizza in particolare e per la pasta in generale. Come dice il proverbio arabo, ‘È impossibile tenere due spade in un fodero solo (Scontro di civiltà, 42).

Ma Geneviève Makaping pensa che sia possibile. I suoi amici temevano che avrebbe potuto perdere parte della sua identità una volta diventata cittadina italiana. Ma Makaping non è d'accordo ed è convinta che sia possibile controllare la propria identità:

I strongly believe in keeping the boundaries of my identity open: the religious, social, and political boundaries… I am well aware of all these contributions to the construction of my identity. I have control over them, and I try to assign the right value to them all (Reversing the Gaze, 62).

In modo simile, nel suo racconto “Salsicce”, la protagonista prova a mangiare una salsiccia di maiale per sentirsi più italiana, ma capisce che non è un pezzo di carne nello stomaco a renderla “più italiana” e “meno somale” (36). Lei è un mix (36) di culture che, come Maka, riesce ad accettare e a fare convivere.

I testi di Makaping, Lakhous, Scego, Khouma e il documentario di Ciriaci mostrano che le ragioni che spingono i personaggi a migrare in Italia sono diverse: sicurezza politica, sicurezza economica e fuga dal dolore. Tuttavia, i personaggi pagano un duro prezzo per le loro scelte. Una delle conseguenze più comuni e dolorose della migrazione è la solitudine e si vede che ai migranti mancano i loro amici, le loro famiglie e il loro quartiere. Ai migranti mancano anche soprattutto i rituali familiari del cucinare e del mangiare. Gli effetti della solitudine a volte sono gravi: mangiare (Maria) o bere in modo eccessivo (Parvis) diventano il modo in cui alcuni personaggi affrontano la solitudine ed diventano elementi narrativi che fanno emergere il disagio psicologico e sociale che si prova in situazioni di sradicamento dalla propria cultura.

Nonostante emerga la paura che la migrazione possa portare ad una perdita di identità (Parvis, Pap), Maka e il personaggio di Scego scoprono di riuscire a preservare sia la loro identità nativa che ad acquistarne una italiana. Ciò che è importante per questi personaggi è la capacità di controllare la definizione della propria identità, perché, come conclude la protagonista di Salsicce, “se questo dà fastidio, d'ora in poi me ne fotterò!” (36).

Bibliografia

  • If Only I Were That Warrior. Directed by Valerio Ciriaci, Awen Films, 2015.
  • Khouma, Pap. Io venditore di elefanti / I was an Elephant Salesman. Indiana University Press, 2010.
  • Lakhous, Amara. Scontro di civiltà per un ascensore in Piazza Vittorio / Clash of Civilizations Over an elevator in Piazza Vittorio, translated by Ann Goldstein, E/O, 2021.
  • Makaping, Geneviève. Reversing the Gaze: What if the Other Were You? Rutgers University Press, 2023.
  • Ngoi, Paul Bakolo. “Half a Lesson.” New Italian Voices: Transcultural Writings in Contemporary Italy. Eds. Cinzia Blum and Deborah Contrada. Italica Press, 2022.
  • Scego, Igiaba. “Salsicce.” Pecore nere, Eds. Flavia Capitani and Emanuele Coen. Bari: Laterza, 2006, pp. 23-36.

Biographical Statement - Richard Eichenberg

Richard Eichenberg retired in 2022 after teaching political science at Tufts University for thirty-eight years. His hobbies include cycling, kayaking, and studying Italian.